Lo sapete quanto mi piace Cinzia Picchioni... E mi piace anche cio' che scrive....anzi NO....cioè....MI PIACE come scrive NON MI PIACE ciò di cui scrive....VERITA' SCOMODE...ma fondamentali da sapere (in nome di SATYA la verità - uno degli yama dello yoga....e in nome di AHIMSA e... tutti gli altri!!!)
E allora beccatevi la recensione che la Picchioni ha scritto di questo libro.... Lei il cellulare non lo usa, io per il momento non posso farne a meno (o almeno lo penso...o me lo fanno pensare). Continuerò a usarlo, ma un po' meno e con piu' consapevolezza.... Inizio un DIGITAL DETOX, spegnendolo un po' di piu' e limitando l'uso della connessione a internet (basta Facebook, mail e Whattsapp sul cellulare!!!) ed usando l'auricolare.
Buona lettura e buon DIGITAL DETOX anche a voi!!
Krish Benvenuti
Toglietevelo dalla testa – Recensione di Cinzia Picchioni
Tratto dal sito del Centro Studi Sereno Regis
Riccardo Staglianò, Toglietevelo dalla testa, chiarelettere, Milano 2012, pp. 356, € 15,00
Un grandissimo applauso (virtuale) a chi ha deciso il titolo,
veramente, totalmente, inquietantemente efficace. Che cosa dobbiamo
toglierci dalla testa? L’idea che i telefoni cellulari siano innocui?
L’idea che i telefoni non
siano innocui? L’idea che ci siano troppo interessi economici perché le
aziende produttrici di telefoni cellulari (e apparecchi cordless,
non dimentichiamolo!) si decidano a scrivere sulle confezioni «nuoce
alla salute» come su quelle delle sigarette? L’idea che per
«controllare» i nostri figli pre-adolescenti e adolescenti stiamo
mettendo a rischio il loro cervello (non metaforicamente inteso)?
Nononono! Quello che dobbiamo toglierci dalla testa è proprio, e più
semplicemente, l’apparecchio. Sì, proprio il telefono (cellulare o cordless domestico che sia), quello
dobbiamo toglierci dalla testa. E non come pensiero, ma proprio come
oggetto. Il libro ci consiglia di tenerlo lontano dal capo, dalle
orecchie, dal corpo intero. Il più lontano possibile. Togliercelo dalla
testa per usare l’auricolare, per preferire le telefonate da un numero
fisso e gli SMS (che, ricordiamo, è una sigla che sta per: Short (breve) Message (messaggio) Service (servizio). Short, breve, capito? Anche i messaggi prevedono l’utilizzo del cellulare, che deve essere ridotto al minimo, comunque).
Il messaggio del libro è molto eloquente nelle primissime pagine, che riportano alcune agghiaccianti, brevi,
frasi del tipo «I Lloyd’s di Londra rifiutano di coprire i produttori
di telefoni cellulari contro i rischi della salute che possono derivare
dai loro apparecchi» («The Guardian», 10 aprile 1999!!!!!!!)
oppure «Si tratta di un’antenna a microonde. Ci cuociamo il cervello
quando ci teniamo attaccato il ricevitore» (Keith Black, primario di
neurochirurgia, Los Angeles), e si riferisce al telefono cellulare, non a
un forno. Poi comincia la confusione, proprio come è successo negli
anni in cui si è studiato (e ancora si studia) sugli effetti dell’uso
dei cellulari (e dei telefoni cordless, non dimentichiamocelo e 2!). Sì perché leggendo si scoprono interessi miliardari in gioco:
«Se hai così tanti soldi puoi fare quasi tutto. Influenzare l’informazione [Oppure]
neutralizzando le cattive notizie con altre di segno uguale e contrario
[...] Oggi dicono che fa male, domani che rivitalzza la memoria: a chi
si deve credere? Aumentate il rumore, vi spiegherà qualsiasi fisico, e
captare il segnale diventa difficile, quasi impossibile. Poche altre
storie nell’ultimo quarto di secolo sembrano altrettanto infinite e
infinitamente confuse». (p. 21)
«nel
67 per cento degli studi c’è una probabilità di trovare il riscontro di
un effetto biologico dei cellulari, in quelli finanziati dall’industria
la probabilità precipita al 28 per cento»; «il totale degli studi
finanziati dall’industria (…) era di 96 (…) mentre quelli indipendenti
erano 230» (p. 169). Così nelle ricerche svolte dal 1995 al 2005 si
rilevano effetti sugli esseri umani dovuti all’esposizione alle
radiofrequenze nell’82 per cento (di quelli finanziati da agenzie
pubblche), nel 71 per cento (di quelli che hanno risorse dal pubblilco e
dall’industria), ma solo nel 33 per cento (di quelli finanziati
dall’industria).
Poi
«Facciamo finta di niente anche con le sigarette, alla faccia delle loro
tremende avvertenze. Figuriamoci se davvero vogliamo andare in fondo
nello svergognare il nostro giocattolino preferito. [...] Ma gli esempi
che ho raccolto [Sono fatti], regolarmente accaduti e documentati nelle
pagine che seguiranno. Leggetele e pensateci la prossima volta che fate
una chiamata» (p. 22)
«La risposta definitiva su quali dei due fronti ha ragione l’avremo forse tra una decina d’anni. [...] “è il più
grande studio epidemiologico a cielo aperto mai condotto”. E noi siamo
le cavie. Una volta che quest’idea si installa nella tua testa, è
difficile essere tranquillo come prima». (pp. 22-3)
Fumo e cellulari, cellulari e fumo
Il neurochirurgo Vini Khurana, dopo una rassegna di cento studi sul
tema, nel 2008 ha dichiarato, fra le altre cose, che «(…) se il fumo di
un miliardo di persone al mondo ne uccide circa cinque milioni all’anno,
quante vittime possiamo aspettarci da cinque miliardi di utenti di
cellulari? Più che abbastanza perché tutti riducano il più possibile la
loro esposizione, con ogni mezzo disponibile, e i governi prendano
“immedate misure” per fare altrettanto».
A scuola
The Phone Book (giugno 2011), duecento pagine di rapporto che si aprono
con la raccomandazione del Consiglio d’Europa che «tra le altre
precauzioni, chiede che telefonini e wifi siano banditi dalle scuole»
(p. 70). In Finlandia si dichiara che «Dal momento che ci vogliono anni
per sviluppare un cancro e i cellulari sono di uso comune solo da circa
un decennio, la possibilità che un legame tra il loro uso e i tumori
possa essere scoperto in ulteriori studi non può essere escluso»; in
Canada le linee guida per la sicurezza sull’uso dei telefonini, redatte
dal governo, prescrivono che «i ragazzi, soprattutto i preadolescenti,
usino la linea fissa ogni volta che è possibile, riservando i cellulari
solo per scopi essenziali»; in Germania si raccomanda una
«minimizzazione dell’esposizione per i ragazzi»; in Irlanda si prevede
«un’avvertenza da apporre sui cellulari e sul packaging relativo che
informi chiaramente che si tratta di apparecchi che emettono radiazioni
elettromagnetiche»; e l’Italia?
Nel 2011, dopo la Gabanelli…
… e una puntata del «suo» programma «Report» (del 27 novembre 2011,
reperibile in www.report.rai.it), arriva un parere che consiglia
«l’adozione di semplici comportamenti individuali, quali l’utilizzo di
(…) auricolari e sistemi vivavoce (…), un’autolimitazione delle
telefonate non necessarie, l’utilizzo di messaggi (…), in quanto può
contribuire a limitare le esposizioni ai campi elettromagnetici in
radiofrequenza emessi dai telefoni cellulari» (p. 87).
Api, mosche e altri anima-li
«Una volta andammo a trovare un cliente, amministratore delegato di una
grossa compagnia [nel campo delle comunicazioni satellitari, NdR].
La sala riunioni era collocata proprio sotto un tetto su cui erano
montati i piatti di enormi parabole. A un certo punto, mentre parlavamo,
cadde una mosca a pancia in su sulla scrivania. Poi, dopo una decina di
minuti, un’altra. Era una sala elegante, l’ultimo posto al mondo dove
ti aspetteresti veder precipitare mosche, come arrostite [...].
Passa ancora un quarto d’ora e ne stramazza una terza. Guardai il mio
socio e gli sussurrai: “Dobbiamo andar via di qui”. A proposito, ho
sentito dire che tra le possibili cause della scomparsa delle api ci
sarebbe anche la progressione geometrica nell’uso dei cellulari che
mandano in confusione il loro sistema di navigazione: ne sa niente?» (p.
71-2).
Che c’entra lo zucchero con i cellulari?
Be’ non proprio lo zucchero, ma quello che fa finta di essere zucchero,
l’aspartame. Leggete il capitolo «Le lobby al contrattacco» (pp. 177
ss.), in cui si narrano le gesta del direttore scientifico dell’Istituto
Ramazzini, e della sua denuncia circa la pericolosità del dolcificante
aspartame. Con tutta l’esperienza e la metodica che avrebbe potuto
mettere a disposizione, l’Istituto ha proposto studi analoghi per i
cellulari (nel 1996, quando i telefoni erano 3-4 milioni). Indovinate?
Dopo scambi epistolari e tentennamenti non se ne fece nulla. Così «Il
gioco (…) è proprio quello di prendere tempo. Rispetto ai giorni in cui
proponevamo lo studio, il numero dei telefonini in Italia è più che
decuplicato. Hanno avuto modo di creare, indisturbati, un bene di
consumo ormai insostituibile. Se anche trovassimo oggi risultati
preoccupantissimi, non avrebbe nella psiche collettiva lo stesso effetto
di un risultato analogo scoperto allora. L’industria ha già vinto».
E la scienza che dice?
La terza parte del libro, quella dedicata alla «voce della scienza» è a
dir poco agghiacciante. Se non avete intenzione di smettere di usare,
comprare, regalare, avere un cellulare è meglio che non la leggiate,
perché non potrete più far finta di niente (come si fa con le sigarette e
l’alcool). Inizia a p. 197 e due pagine più in là un capitolo recita:
«È un fatto: le radiazioni dei cellulari alterano l’attività cerebrali»,
e prosegue con dati e risultati di test, frequenze, effetti sulle
cellule, tempi di reazione, foto con le variazioni del glucosio nel
cervello, note e siti precisi in cui andare a verificare e approfondire…
e insieme le pubblicità che ci offrono felicemente «chiamate
illimitate», dove «illimitate» è la parola magica. Evviva! Non dovremo
più preoccuparci di parlare poco al telefono cellulare altrimenti costa
troppo (che forse era l’unica salvezza) e anzi, siccome hai pagato
tenderai a parlare il più possibile!!! Un altro titolo? «Il DNA rotto, o
che si ripara peggio».
Quelli che sì…
Il Karolinska Instituter negli anni Novanta aveva stabilito una connessione fra esposizione a linee elettriche e leucemie. Poi
«Nel
’93 [...] ci fu un caso celebre di un uomo della Florida che fece causa
alla Motorola per il tumore al cervello della moglie».
Allora fu iniziato uno studio su 200 casi (malati di tumore al
cervello) e altrettanti controlli (persone sane) e per due anni li
misero a confronto.
«Alla
fine non scoprono un aumento di rischio per il fatto di esserre esposti
ll’uso dei cellulari. Almeno fino a quando qualcuno non fa notare che,
dal momento che le radiazioni interessano solo una piccola porzione del
cervello. circa 2-3 centimetri di profondità rispetto a dove il telefono
tocca la testa, l’importante è concentrarsi su quei casi soltanto.
Rifacendo i calcoli in quest’ottica il segno cambia e il risultato salta
fuori. Il rischio dopo dieci anni raddoppia. Un risultato analogo si
riscontra in qulli che hanno usato i cordless [...] (pp. 232-3).
Quelli che soprattutto i giovani…
«[...]
in chi ha cominciato a usare il telefonino prima dei vent’anni, il
rischio di glioma, invece di duplicare, quintuplica. Un risultato
spiegabile con fattori biologici e fisici, ovvero il cranio più sottile,
il fatto che il cervello sino a 20-25 anni si sviluppa e le sue
dimensioni sono più piccole, quindi l’irradiazione interessa una
percentuale molto più ampia [...], i tessuti sono più conduttivi e in
generale i giovani sono più sensibili alle tossine. [...] significa
milioni di ragazzi che passano ore a casa a parlare con gli amici e in
alcuni casi il telefono se lo portano anche a letto, senza sospettare
affatto che può far loro male, perché nessuno gliel’ha detto», (pp.
234-5).
Quelli che no, forse, sì, nono, ni…
A
pagina 250 c’è una piccola rassegna stampa internazionale, con i titoli
di alcuni articoli usciti fra il 16 e il 18 maggio 2010. Leggendola, si
capisce perché nessuno si decide a smettere di usare il telefonino. C’è
chi dice no (come Vasco), che chi dice sì, c’è chi dice forse, chi
consiglia cautela e chi rassicura… così nessuno capisce nulla, tutti
continuano a usare e comprare i telefonini e l’industria è contenta
(forse anche quella farmaceutica…).
Ma allora?
Ciò che viene fuori è che «non sappiamo», e che, nel dubbio, è meglio
usare il famoso principio di precauzione, soprattutto con i bambini e i
giovani. Per applicare al meglio il principio di precauzione credo che
si dovrebbe cominciare con la domanda delle domande: «Mi serve davvero?»
e, trovando la «solita» risposta: «Sì. Non se ne può più fare a meno»
fare un’altra domanda: «Ma prima, come si faceva?»:
«Nel
1985 il telefonino risulta in mano allo 0,13 per cento della
popolazione. Dopo dieci anni, nel ’93, diventano il 6. Nel 2000 crescono
a 38, per tagliare oggi il traguardo del 100 per cento», (p. 200).
Se meno di vent’anni fa il telefonino non ce l’aveva nessuno e oggi ce
l’hanno tutti è chiaro che può sembrare di non poterne fare a meno, ma è
una convinzione mentale e sta diventando
una verità perché, per esempio, moltissime persone non fanno nemmeno
più il contratto con la Telecom (o lo disdicono), perché non sanno (o
fingono di non sapere) dei danni derivanti dall’uso del telefono
cellulare, ben più gravi (e costosi) del canone! Poi c’è tutta la
questione del «Mi serve davvero?».
Ricordo un incontro con alcuni monaci buddhisti, a Torino Spiritualità
del 2013. La persona che li presentava ha invitato gli spettatori a
spegnere (nemmeno silenziare) i cellulari dicendo: «Credo che qui dentro
non ci sia la segretaria di Barack Obama, quindi possiamo spegnere i
cellulari per due ore…». Non c’è praticamente nulla che non possa essere
rimandato! L’altro giorno a Messa un signore anziano ha lasciato
suonare il suo telefono, ha risposto e poi ha comunicato alla moglie che
gli sedeva accanto che il loro figlio stava andando a sciare e che si
sarebbero sentiti la sera!!! Ma non vi sembra idiota? Perché ha dovuto
lasciare il telefono acceso, in chiesa? Perché non ha potuto lasciare
che la telefonata si registrasse su una segreteria telefonica per
ascoltarlo dopo 45 minuti senza disturbare tutti? Crediamo davvero di
essere così importanti da dover subito essere trovati per i più stupidi
motivi? O non è che ci sentiamo «fighi» quando qualcuno ci cerca, e più
persone lo fanno e più ci sentiamo importanti? E perché tutti devono
ascoltare le stupidaggini che di solito si dicono, in treno per esempio,
dove i posti sono molto vicini?
Dopo aver letto questo libro per recensirlo sono veramente
preoccupata, soprattutto perché vedo che nel 99,9 per cento dei casi il
telefonino non serve, ma invece è dannoso. E se potrei essere disposta
ad accettare qualcosa di dannoso se fosse davvero importante, non lo
sono più per qualcosa di superfluo (e tale ritengo che sia il telefonino
nella maggior parte dei casi).
E ora?
Ora staremo a vedere. Le ricerche continueranno, gli anni passano e
quindi i danni verranno fuori, le aziende nel frattempo si sono
arricchite, noi abbiamo riempito le discariche del Sud del mondo con i
nostri vecchi telefonini (programmati pr durare poco e/o venduti con
astute tecniche pubblicitarie in cui cadiamo tutti come tanti babbei),
persone si sono ammalate e sono morte. Pensateci: questo è il discorso
più frequente che si ascolta quando qualcuno risponde, per strada o sul
treno, al telefono: «Ciao. Dove sei? Posso chiamarti dopo?». Per questo
dobbiamo rischiare di avere un tumore al cervello? E se qualcuno
obietterà che invece il telefono lo usa per lavoro, o fa il medico
(l’unica categoria, secondo me, autorizzata ad avere un telefonino,
visti i rischi, presunti e in attesa di accertamento), allora, sulla
base di quanto ho letto sul libro che abbiamo recensito, quel qualcuno
lo usi il meno possibile, e, quelle poche volte, utilizzando
l’auricolare e/o il vivavoce. IL
MENO POSSIBILE È POSSIBILE! L’AURICOLARE È POSSIBILE. CHIEDERE SEMPRE
ANCHE UN NUMERO DI TELEFONO FISSO È POSSIBILE. PERCHÉ CI SPECIALIZZIAMO
NELLO SCOVARE NUOVE SCHIAVITÙ (CUI CI SOTTOPONIAMO VOLONTARIAMENTE
PERALTRO…)? Cominciamo
fin da ora a liberarci, tutte le volte che possiamo, tutte le persone
che possono: per esempio, se rispondiamo, col cellulare, in un luogo
dove c’è un telefono fisso perché non chiediamo subito
a chi ci ha cercato di richiamarci? O anche noi, quando cerchiamo
qualcuno di cui abbiamo solo il numero di cellulare, possiamo subito
chiedere se possiamo richiamarlo a un telefono fisso. Non mi sembra così
difficile, per la salvaguardia del nostro e dell’altrui cervello. O
almeno il cellulare, come hanno pensato gli inventori del geniale
titolo, «toglietevelo dalla testa». E io mi permetto di aggiungere: «non
solo dalla testa fisica, ma toglietevelo dalla testa anche come idea».
Forse creerò un club, quello dei «senza cellulare». Se stai leggendo e,
come me, non hai un cellulare puoi contattarmi. Se hai un cellulare, ma
vuoi farne a meno perché credi nella sua dannosità (nonostante le
ricerche traballanti), puoi contattarmi. Credo che presto o tardi ci
saranno, come gli Alcolisti Anonimi, i Cellularisti Inevitabili, o i
Cellular’s slaves, che organizzeranno incontri per disintossicarsi, per
scovare nuovi (vecchi in verità) modi per telefonarsi senza «cuocersi il
cervello». Perché è questo ciò che facciamo usando un cellulare. È
meglio che ce lo ricordiamo; e ora possiamo anche capirlo bene, leggendo
con attenzione questo libro che, ovviamente, è disponibile presso la
Biblioteca del Centro Studi Sereno Regis (lun., merc., ven. 10-16; mar.,
giov. 12,30-16,30).