martedì 25 febbraio 2014

DIGITAL DETOX - lncominciamo dal cellulare

 Lo sapete quanto mi piace Cinzia Picchioni... E mi piace anche cio' che scrive....anzi NO....cioè....MI PIACE come scrive NON MI PIACE ciò di cui scrive....VERITA' SCOMODE...ma fondamentali da sapere (in nome di SATYA la verità - uno degli yama dello yoga....e in nome di AHIMSA e... tutti gli altri!!!)

E allora beccatevi la recensione che la Picchioni ha scritto di questo libro.... Lei il cellulare non lo usa, io per il momento non posso farne a meno (o almeno lo penso...o me lo fanno pensare). Continuerò a usarlo, ma un po' meno e con piu' consapevolezza.... Inizio un DIGITAL DETOX, spegnendolo un po' di piu' e limitando l'uso della connessione a internet (basta Facebook, mail e Whattsapp sul cellulare!!!) ed usando l'auricolare.

Buona lettura e buon DIGITAL DETOX anche a voi!!

Krish Benvenuti



cop stagliano Toglietevelo dalla testa

Toglietevelo dalla testa – Recensione di Cinzia Picchioni

Tratto dal sito del Centro Studi Sereno Regis

Riccardo Staglianò, Toglietevelo dalla testa, chiarelettere, Milano 2012, pp. 356, € 15,00
 
Un grandissimo applauso (virtuale) a chi ha deciso il titolo, veramente, totalmente, inquietantemente efficace. Che cosa dobbiamo toglierci dalla testa? L’idea che i telefoni cellulari siano innocui? L’idea che i telefoni non siano innocui? L’idea che ci siano troppo interessi economici perché le aziende produttrici di telefoni cellulari (e apparecchi cordless, non dimentichiamolo!) si decidano a scrivere sulle confezioni «nuoce alla salute» come su quelle delle sigarette? L’idea che per «controllare» i nostri figli pre-adolescenti e adolescenti stiamo mettendo a rischio il loro cervello (non metaforicamente inteso)? Nononono! Quello che dobbiamo toglierci dalla testa è proprio, e più semplicemente, l’apparecchio. Sì, proprio il telefono (cellulare o cordless domestico che sia), quello dobbiamo toglierci dalla testa. E non come pensiero, ma proprio come oggetto. Il libro ci consiglia di tenerlo lontano dal capo, dalle orecchie, dal corpo intero. Il più lontano possibile. Togliercelo dalla testa per usare l’auricolare, per preferire le telefonate da un numero fisso e gli SMS (che, ricordiamo, è una sigla che sta per: Short (breve) Message (messaggio) Service (servizio). Short, breve, capito? Anche i messaggi prevedono l’utilizzo del cellulare, che deve essere ridotto al minimo, comunque).

Il messaggio del libro è molto eloquente nelle primissime pagine, che riportano alcune agghiaccianti, brevi, frasi del tipo «I Lloyd’s di Londra rifiutano di coprire i produttori di telefoni cellulari contro i rischi della salute che possono derivare dai loro apparecchi» («The Guardian», 10 aprile 1999!!!!!!!) oppure «Si tratta di un’antenna a microonde. Ci cuociamo il cervello quando ci teniamo attaccato il ricevitore» (Keith Black, primario di neurochirurgia, Los Angeles), e si riferisce al telefono cellulare, non a un forno. Poi comincia la confusione, proprio come è successo negli anni in cui si è studiato (e ancora si studia) sugli effetti dell’uso dei cellulari (e dei telefoni cordless, non dimentichiamocelo e 2!). Sì perché leggendo si scoprono interessi miliardari in gioco: 

«Se hai così tanti soldi puoi fare quasi tutto. Influenzare l’informazione [Oppure] neutralizzando le cattive notizie con altre di segno uguale e contrario [...] Oggi dicono che fa male, domani che rivitalzza la memoria: a chi si deve credere? Aumentate il rumore, vi spiegherà qualsiasi fisico, e captare il segnale diventa difficile, quasi impossibile. Poche altre storie nell’ultimo quarto di secolo sembrano altrettanto infinite e infinitamente confuse». (p. 21)

«nel 67 per cento degli studi c’è una probabilità di trovare il riscontro di un effetto biologico dei cellulari, in quelli finanziati dall’industria la probabilità precipita al 28 per cento»; «il totale degli studi finanziati dall’industria (…) era di 96 (…) mentre quelli indipendenti erano 230» (p. 169). Così nelle ricerche svolte dal 1995 al 2005 si rilevano effetti sugli esseri umani dovuti all’esposizione alle radiofrequenze nell’82 per cento (di quelli finanziati da agenzie pubblche), nel 71 per cento (di quelli che hanno risorse dal pubblilco e dall’industria), ma solo nel 33 per cento (di quelli finanziati dall’industria).

Poi

«Facciamo finta di niente anche con le sigarette, alla faccia delle loro tremende avvertenze. Figuriamoci se davvero vogliamo andare in fondo nello svergognare il nostro giocattolino preferito. [...] Ma gli esempi che ho raccolto [Sono fatti], regolarmente accaduti e documentati nelle pagine che seguiranno. Leggetele e pensateci la prossima volta che fate una chiamata» (p. 22)

«La risposta definitiva su quali dei due fronti ha ragione l’avremo forse tra una decina d’anni. [...] “è il più grande studio epidemiologico a cielo aperto mai condotto”. E noi siamo le cavie. Una volta che quest’idea si installa nella tua testa, è difficile essere tranquillo come prima». (pp. 22-3)

Fumo e cellulari, cellulari e fumo

Il neurochirurgo Vini Khurana, dopo una rassegna di cento studi sul tema, nel 2008 ha dichiarato, fra le altre cose, che «(…) se il fumo di un miliardo di persone al mondo ne uccide circa cinque milioni all’anno, quante vittime possiamo aspettarci da cinque miliardi di utenti di cellulari? Più che abbastanza perché tutti riducano il più possibile la loro esposizione, con ogni mezzo disponibile, e i governi prendano “immedate misure” per fare altrettanto».

A scuola

The Phone Book (giugno 2011), duecento pagine di rapporto che si aprono con la raccomandazione del Consiglio d’Europa che «tra le altre precauzioni, chiede che telefonini e wifi siano banditi dalle scuole» (p. 70). In Finlandia si dichiara che «Dal momento che ci vogliono anni per sviluppare un cancro e i cellulari sono di uso comune solo da circa un decennio, la possibilità che un legame tra il loro uso e i tumori possa essere scoperto in ulteriori studi non può essere escluso»; in Canada le linee guida per la sicurezza sull’uso dei telefonini, redatte dal governo, prescrivono che «i ragazzi, soprattutto i preadolescenti, usino la linea fissa ogni volta che è possibile, riservando i cellulari solo per scopi essenziali»; in Germania si raccomanda una «minimizzazione dell’esposizione per i ragazzi»; in Irlanda si prevede «un’avvertenza da apporre sui cellulari e sul packaging relativo che informi chiaramente che si tratta di apparecchi che emettono radiazioni elettromagnetiche»; e l’Italia?

Nel 2011, dopo la Gabanelli…

… e una puntata del «suo» programma «Report» (del 27 novembre 2011, reperibile in www.report.rai.it), arriva un parere che consiglia «l’adozione di semplici comportamenti individuali, quali l’utilizzo di (…) auricolari e sistemi vivavoce (…), un’autolimitazione delle telefonate non necessarie, l’utilizzo di messaggi (…), in quanto può contribuire a limitare le esposizioni ai campi elettromagnetici in radiofrequenza emessi dai telefoni cellulari» (p. 87).

Api, mosche e altri anima-li

«Una volta andammo a trovare un cliente, amministratore delegato di una grossa compagnia [nel campo delle comunicazioni satellitari, NdR]. La sala riunioni era collocata proprio sotto un tetto su cui erano montati i piatti di enormi parabole. A un certo punto, mentre parlavamo, cadde una mosca a pancia in su sulla scrivania. Poi, dopo una decina di minuti, un’altra. Era una sala elegante, l’ultimo posto al mondo dove ti aspetteresti veder precipitare mosche, come arrostite [...]. Passa ancora un quarto d’ora e ne stramazza una terza. Guardai il mio socio e gli sussurrai: “Dobbiamo andar via di qui”. A proposito, ho sentito dire che tra le possibili cause della scomparsa delle api ci sarebbe anche la progressione geometrica nell’uso dei cellulari che mandano in confusione il loro sistema di navigazione: ne sa niente?» (p. 71-2).

Che c’entra lo zucchero con i cellulari?

Be’ non proprio lo zucchero, ma quello che fa finta di essere zucchero, l’aspartame. Leggete il capitolo «Le lobby al contrattacco» (pp. 177 ss.), in cui si narrano le gesta del direttore scientifico dell’Istituto Ramazzini, e della sua denuncia circa la pericolosità del dolcificante aspartame. Con tutta l’esperienza e la metodica che avrebbe potuto mettere a disposizione, l’Istituto ha proposto studi analoghi per i cellulari (nel 1996, quando i telefoni erano 3-4 milioni). Indovinate? Dopo scambi epistolari e tentennamenti non se ne fece nulla. Così «Il gioco (…) è proprio quello di prendere tempo. Rispetto ai giorni in cui proponevamo lo studio, il numero dei telefonini in Italia è più che decuplicato. Hanno avuto modo di creare, indisturbati, un bene di consumo ormai insostituibile. Se anche trovassimo oggi risultati preoccupantissimi, non avrebbe nella psiche collettiva lo stesso effetto di un risultato analogo scoperto allora. L’industria ha già vinto».

E la scienza che dice?

La terza parte del libro, quella dedicata alla «voce della scienza» è a dir poco agghiacciante. Se non avete intenzione di smettere di usare, comprare, regalare, avere un cellulare è meglio che non la leggiate, perché non potrete più far finta di niente (come si fa con le sigarette e l’alcool). Inizia a p. 197 e due pagine più in là un capitolo recita: «È un fatto: le radiazioni dei cellulari alterano l’attività cerebrali», e prosegue con dati e risultati di test, frequenze, effetti sulle cellule, tempi di reazione, foto con le variazioni del glucosio nel cervello, note e siti precisi in cui andare a verificare e approfondire… e insieme le pubblicità che ci offrono felicemente «chiamate illimitate», dove «illimitate» è la parola magica. Evviva! Non dovremo più preoccuparci di parlare poco al telefono cellulare altrimenti costa troppo (che forse era l’unica salvezza) e anzi, siccome hai pagato tenderai a parlare il più possibile!!! Un altro titolo? «Il DNA rotto, o che si ripara peggio».

Quelli che sì…

Il Karolinska Instituter negli anni Novanta aveva stabilito una connessione fra esposizione a linee elettriche e leucemie. Poi

«Nel ’93 [...] ci fu un caso celebre di un uomo della Florida che fece causa alla Motorola per il tumore al cervello della moglie».

Allora fu iniziato uno studio su 200 casi (malati di tumore al cervello) e altrettanti controlli (persone sane) e per due anni li misero a confronto.

«Alla fine non scoprono un aumento di rischio per il fatto di esserre esposti ll’uso dei cellulari. Almeno fino a quando qualcuno non fa notare che, dal momento che le radiazioni interessano solo una piccola porzione del cervello. circa 2-3 centimetri di profondità rispetto a dove il telefono tocca la testa, l’importante è concentrarsi su quei casi soltanto. Rifacendo i calcoli in quest’ottica il segno cambia e il risultato salta fuori. Il rischio dopo dieci anni raddoppia. Un risultato analogo si riscontra in qulli che hanno usato i cordless [...] (pp. 232-3).

Quelli che soprattutto i giovani…

«[...] in chi ha cominciato a usare il telefonino prima dei vent’anni, il rischio di glioma, invece di duplicare, quintuplica. Un risultato spiegabile con fattori biologici e fisici, ovvero il cranio più sottile, il fatto che il cervello sino a 20-25 anni si sviluppa e le sue dimensioni sono più piccole, quindi l’irradiazione interessa una percentuale molto più ampia [...], i tessuti sono più conduttivi e in generale i giovani sono più sensibili alle tossine. [...] significa milioni di ragazzi che passano ore a casa a parlare con gli amici e in alcuni casi il telefono se lo portano anche a letto, senza sospettare affatto che può far loro male, perché nessuno gliel’ha detto», (pp. 234-5).

Quelli che no, forse, sì, nono, ni…

A pagina 250 c’è una piccola rassegna stampa internazionale, con i titoli di alcuni articoli usciti fra il 16 e il 18 maggio 2010. Leggendola, si capisce perché nessuno si decide a smettere di usare il telefonino. C’è chi dice no (come Vasco), che chi dice sì, c’è chi dice forse, chi consiglia cautela e chi rassicura… così nessuno capisce nulla, tutti continuano a usare e comprare i telefonini e l’industria è contenta (forse anche quella farmaceutica…).

Ma allora?

Ciò che viene fuori è che «non sappiamo», e che, nel dubbio, è meglio usare il famoso principio di precauzione, soprattutto con i bambini e i giovani. Per applicare al meglio il principio di precauzione credo che si dovrebbe cominciare con la domanda delle domande: «Mi serve davvero?» e, trovando la «solita» risposta: «Sì. Non se ne può più fare a meno» fare un’altra domanda: «Ma prima, come si faceva?»:

«Nel 1985 il telefonino risulta in mano allo 0,13 per cento della popolazione. Dopo dieci anni, nel ’93, diventano il 6. Nel 2000 crescono a 38, per tagliare oggi il traguardo del 100 per cento», (p. 200).

Se meno di vent’anni fa il telefonino non ce l’aveva nessuno e oggi ce l’hanno tutti è chiaro che può sembrare di non poterne fare a meno, ma è una convinzione mentale e sta diventando una verità perché, per esempio, moltissime persone non fanno nemmeno più il contratto con la Telecom (o lo disdicono), perché non sanno (o fingono di non sapere) dei danni derivanti dall’uso del telefono cellulare, ben più gravi (e costosi) del canone! Poi c’è tutta la questione del «Mi serve davvero?».

Ricordo un incontro con alcuni monaci buddhisti, a Torino Spiritualità del 2013. La persona che li presentava ha invitato gli spettatori a spegnere (nemmeno silenziare) i cellulari dicendo: «Credo che qui dentro non ci sia la segretaria di Barack Obama, quindi possiamo spegnere i cellulari per due ore…». Non c’è praticamente nulla che non possa essere rimandato! L’altro giorno a Messa un signore anziano ha lasciato suonare il suo telefono, ha risposto e poi ha comunicato alla moglie che gli sedeva accanto che il loro figlio stava andando a sciare e che si sarebbero sentiti la sera!!! Ma non vi sembra idiota? Perché ha dovuto lasciare il telefono acceso, in chiesa? Perché non ha potuto lasciare che la telefonata si registrasse su una segreteria telefonica per ascoltarlo dopo 45 minuti senza disturbare tutti? Crediamo davvero di essere così importanti da dover subito essere trovati per i più stupidi motivi? O non è che ci sentiamo «fighi» quando qualcuno ci cerca, e più persone lo fanno e più ci sentiamo importanti? E perché tutti devono ascoltare le stupidaggini che di solito si dicono, in treno per esempio, dove i posti sono molto vicini?

Dopo aver letto questo libro per recensirlo sono veramente preoccupata, soprattutto perché vedo che nel 99,9 per cento dei casi il telefonino non serve, ma invece è dannoso. E se potrei essere disposta ad accettare qualcosa di dannoso se fosse davvero importante, non lo sono più per qualcosa di superfluo (e tale ritengo che sia il telefonino nella maggior parte dei casi).

E ora?

Ora staremo a vedere. Le ricerche continueranno, gli anni passano e quindi i danni verranno fuori, le aziende nel frattempo si sono arricchite, noi abbiamo riempito le discariche del Sud del mondo con i nostri vecchi telefonini (programmati pr durare poco e/o venduti con astute tecniche pubblicitarie in cui cadiamo tutti come tanti babbei), persone si sono ammalate e sono morte. Pensateci: questo è il discorso più frequente che si ascolta quando qualcuno risponde, per strada o sul treno, al telefono: «Ciao. Dove sei? Posso chiamarti dopo?». Per questo dobbiamo rischiare di avere un tumore al cervello? E se qualcuno obietterà che invece il telefono lo usa per lavoro, o fa il medico (l’unica categoria, secondo me, autorizzata ad avere un telefonino, visti i rischi, presunti e in attesa di accertamento), allora, sulla base di quanto ho letto sul libro che abbiamo recensito, quel qualcuno lo usi il meno possibile, e, quelle poche volte, utilizzando l’auricolare e/o il vivavoce. IL MENO POSSIBILE È POSSIBILE! L’AURICOLARE È POSSIBILE. CHIEDERE SEMPRE ANCHE UN NUMERO DI TELEFONO FISSO È POSSIBILE. PERCHÉ CI SPECIALIZZIAMO NELLO SCOVARE NUOVE SCHIAVITÙ (CUI CI SOTTOPONIAMO VOLONTARIAMENTE PERALTRO…)? Cominciamo fin da ora a liberarci, tutte le volte che possiamo, tutte le persone che possono: per esempio, se rispondiamo, col cellulare, in un luogo dove c’è un telefono fisso perché non chiediamo subito a chi ci ha cercato di richiamarci? O anche noi, quando cerchiamo qualcuno di cui abbiamo solo il numero di cellulare, possiamo subito chiedere se possiamo richiamarlo a un telefono fisso. Non mi sembra così difficile, per la salvaguardia del nostro e dell’altrui cervello. O almeno il cellulare, come hanno pensato gli inventori del geniale titolo, «toglietevelo dalla testa». E io mi permetto di aggiungere: «non solo dalla testa fisica, ma toglietevelo dalla testa anche come idea». Forse creerò un club, quello dei «senza cellulare». Se stai leggendo e, come me, non hai un cellulare puoi contattarmi. Se hai un cellulare, ma vuoi farne a meno perché credi nella sua dannosità (nonostante le ricerche traballanti), puoi contattarmi. Credo che presto o tardi ci saranno, come gli Alcolisti Anonimi, i Cellularisti Inevitabili, o i Cellular’s slaves, che organizzeranno incontri per disintossicarsi, per scovare nuovi (vecchi in verità) modi per telefonarsi senza «cuocersi il cervello». Perché è questo ciò che facciamo usando un cellulare. È meglio che ce lo ricordiamo; e ora possiamo anche capirlo bene, leggendo con attenzione questo libro che, ovviamente, è disponibile presso la Biblioteca del Centro Studi Sereno Regis (lun., merc., ven. 10-16; mar., giov. 12,30-16,30).

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